Chiasmi International 3 - Abstracts

Petrini - To Modulate "l’insaisissable dans l’immanence": Thoughts Surrounding Some Merleau-Ponty’s "Notes" about Music

In the Phénoménologie de la perception, Merleau-Ponty already introduced  observations on music that evoke radical problems and thus require thorough investigation.  Music shows how the "signifié" of a composition is totally brought out not only in the very signs of musical syntax but also in its sonorous, concrete performance.  As a result, the "signified" could not be understood – it could not be heard — without the performance.  Such a peculiarity of music underlines (as Merleau-Ponty says) how conventional language itself is actually linked to a phonic "gesture" with which it was originally – and still is – tied up. This leads us to consider and question the theoretic approach which is at the root of the logical-conceptual approach to language, an approach first developed in Plato’s Cratylus.

This dialogue reveals the fundamental passage that leads Plato to separate language from the pragmatic level of the world and to take it up to the ideal world. Thus, whether at a first level, things are expressed as "pragmata," i.e. as "acting beings" having  a voice (phone), a figure (schema), and sometimes a colour (chroma) – which implies a connection of mutual "in-imagination" of each being with all the others, and a corresponding  iconological movement (made up of phonic schemes) – at a second level the name becomes a mere copy of  "the ideal essence of things which is exclusively logic and closed into a fixed identity."  Here is the source of the "onto-logical" constitution of world at the base of our whole tradition.

Unlike Plato, Merleau-Ponty comes back to a vision of the real based on the concept of relation, and this explains his philosophical interest in musicians such as Schönberg and Berg. In fact, the late discovery of "polytonalism" goes toward a recovery of multiplicity of relations which is also at the heart of Klee’s research. In other words, all these artists intend to create a new iconological language (sonorous-figurative-chromatical) which could express the mutual delining of beings (in this regard, Schönberg’s Die glückliche Hand is quite symbolic). Such a language is thus able to express the invisible "modulation" that goes on among things, among the silent background – that "elusiveness in immanence" in Klee’s famous words – which can never be said but is at the root of things and words — and music.

Petrini - Modulare "l’inafferrabile nell’immanenza". Intorno ad alcune "note" di Merleau-Ponty sulla musica

Già nella Fenomenologia della percezione Merleau-Ponty inserisce delle osservazioni sulla musica che evocano problemi e approfondimenti radicali. La musica, infatti, mostra come "il significato" di una composizione si risolva totalmente non solo nei "segni" propri della sintassi musicale, ma nella concreta esecuzione sonora, tanto da risultare del tutto incomprensibile senza o al di là di essa. Questa peculiarità della musica ci fa intravedere – secondo Merleau-Ponty – che lo stesso linguaggio verbale convenzionale in realtà rinvia ad una gestualità fonica alla quale esso era in origine – e resta nascostamente – innestato. Ma questo significa, allora, fare i conti e rimettere in questione l’impianto teorico – che ha dato il via alla tradizionale sistemazione logico-concettuale del linguaggio – sviluppato inizialmente nel Cratilo di Platone.

In questo dialogo avviene infatti quel passaggio fondamentale in base al quale Platone separa il linguaggio dal livello ‘pragmatico’ del mondo e lo consegna integralmente al piano ideale-eidetico. Cosicché, se al primo livello le cose sono dette in quanto "pragmata", cioè "enti in azione" che proprio perciò "hanno voce (phone), figura (schema) e molte anche colore (chroma)" (Cr, 423 d) – il che implica un movimento relazionale di reciproca ‘in-imaginazione’ di ciascun ente con tutti gli altri ed un corrispondente linguaggio iconologico (fatto di schemi fonici) -, col successivo passaggio il nome viene ridotto alla sola "imitazione" dell’"essenza ideale" delle cose, esclusivamente logica e chiusa in una prefissata identità. Come si sa, nasce di qui la costituzione onto-logica del mondo, su cui è scandita tutta la nostra tradizione.

Ad una visione del reale centrata di nuovo sul concetto di "relazione" torna invece Merleau-Ponty. Si spiega da qui il suo interesse – filosofico – per taluni musicisti come Schönberg e Berg. In questi ultimi infatti la scoperta del "politonalismo" va nella direzione di un recupero di quella "polirelazionalità" che è al centro anche delle ricerche pittoriche di Klee. In altri termini, per questi artisti si tratta di trovare un linguaggio iconologico (sonoro-figurale-cromatico) che torni a dire il reciproco di-segnarsi degli enti (emblematica a questo riguardo l’opera di Schönberg Die glückliche Hand). Un linguaggio dunque in grado di dire quella invisibile "modulazione" che trascorre fra le cose: quel "fra", quello sfondo silenzioso – quell’"inafferrabile nell’immanenza", secondo le celebri parole di Klee – che mai può esser detto, ma a partire dal quale soltanto si hanno cose e parole. E musica.

Gendre - Philosophie et la question de la non-philosophie en les Notes de Cours 1959-1961 de Merleau-Ponty

Les Notes de cours 1959-61 voient Merleau-Ponty reconduire la philosophie sur le sol préthéorétique de l’expérience, à travers des incursions dans la culture européenne du XXème siècle. " Il y a la non-philosophie d’avant et la non-philosophie d’après, qui est philosophie ", comme l’écrit Merleau-Ponty à propos de Husserl, dont l’epoché, les paradoxes et l’itinéraire constituent une source d’inspiration centrale. Merleau-Ponty, comme nous verrons, passe en revue quelques unes des tendances nihilistes qui ont façonné l’histoire et la pensée contemporaines depuis l’Aufklärung : l’autonomisation des démarches scientifiques, qui éloignent l’homme du contact avec le monde vécu, et l’absence d’une réflexion concertée sur les institutions modernes. La Révolution bolchévique de 1917 donna lieu à une violence inouïe, perpétrée par Staline avec l’aide de l’idéologie marxiste, et que Merleau-Ponty impute à la fois au fait que Marx fut incapable de penser hors du cadre de la négativité hégélienne, et à une conception absolue de la positivité à laquelle souscrivit le Parti. Se désengager du passé et renouer avec un être qui excéderait la subjectivité et la représentation, tel fut le projet de Husserl dont les paradoxes d’une intersubjectivité dans la subjectivité, de l’expression dans le silence, du constitué dans le constituant, animent chacune des étapes qui le menèrent de la sphère égologique vers le Lebenswelt. Merleau-Ponty en vient alors à la question de l’art, qui apparaît comme un supplément à la philosophie. Méditant sur le surgissement de l’être, les artistes (re)produisent dans la matière qui leur est donnée leur contact silencieux avec le passé et la vérité de ce qui est. Affranchis des pratiques académiques, ils se donnent un ton volontairement saisissant (ironie et gravité chez Klee), ou un enveloppement potentiellement infini reliant le moi, les autres et le monde. La rédemption a lieu par la sélection de fragments et de pièces courtes, autrement dit dans l’acte même d’écrire ou de composer dans l’être.

Gendre - La filosofia e la questione della non filosofia nelle Note di corso 1959-1961 di Merleau-Ponty

Le note di corso 1959-61 mostrano come Merleau-Ponty reindirizzasse la filosofia verso il terreno pre-teoretico dell’esperienza attraverso le sue esplorazioni della cultura europea del XX secolo. "C’è una non filosofia del prima e c’è una non filosofia del dopo, che è filosofia", scrive Merleau-Ponty di Husserl, la cui epoché, i cui paradossi ed il cui itinerario sono una fonte centrale della sua ispirazione. Il presente saggio mostra come Merleau-Ponty rintracci alcune delle tendenze nichilistiche che hanno plasmato la storia e il pensiero contemporanei a partire dall’Aufklärung: l’autonomizzazione dei processi scientifici che distaccano gli uomini dal contatto vissuto con il mondo e e l’assenza di comprensione delle istituzioni moderne. La rivoluzione bolscevica del 1917 promossa da Stalin e dall’ideologia marxista, che Merleau-ponty fa risalire all’incapacità, da parte di Marx, di liberarsi dalla negatività hegeliana e da una concezione assoluta della positività, assegnata alla fine al Partito. Lo svincolarsi dal passato e il ristabilire la nostra connessione con l’Essere che eccede il soggetto e la rappresentazione saranno possibili in seguito all’opera di Husserl, i cui paradossi dell’intersoggettività nella soggettività, dell’espressione nel silenzio, del costituito nel costituente animano la ri(con)duzione dalla sfera egologica alla Lebenswelt. Le arti appaiono allora come supplementi della filosofia. Considerando l’Essere come avvento, gli artisti (ri)producono nei propri mezzi il loro contatto silenzioso con il passato e la verità di ciò che è. Liberi dalle pratiche accademiche, essi possono scegliere un tono morale sorprendente (ironia e gravità in Klee) o sviluppare le mutue connessioni, potenzialmente infinite, fra l’io, gli altri e il mondo (Proust). Una redenzione ha luogo scegliendo frammenti e particelle nell’atto stesso di scrivere o di comporre all’interno dell’Essere.

Pinotti - The Touchable and the Untouchable: Merleau-Ponty and Bernard Berenson

It is well known that, in his Eye and Mind, Merleau-Ponty severely criticizes the theory of tactile values that the Lithuanian (but naturalized American) art historian Bernard Berenson had made famous since the publication of his book on the Florentine Painters in the Renaissance in 1896, and that had been frequently repeated in his later essays.  According to Berenson, the tactile values are caused by representations of solid objects which present the objects themselves in a way that stimulates our imagination to feel their volume, their weight, their potential resistance, to measure their distance from us, in a way that encourages us, always in our imagination, to get in contact with them, to seize them or to embrace them or to turn around them.

Moving from the presupposition that painting, even when it seems to be directed at other aims, does not celebrate any other enigma than that of visibility, and moving from the truism which maintains that the world of the painter is a visibile world, and nothing more than visible ("seeing is having at a distance"), Merleau-Ponty concludes that the young Berenson, referring to an evocation of the tactile values in the Italian art, could not be more wrong:  painting does not evoke anything, and less than ever the tactile.  It is quite the contrary.  Painting gives visibile existence to what is believed invisible by the profane vision.  Painting allows us to have the volume of the world without using a tactile sense.

At first sight, what could appear as a rigid pan-opticist position (stigmatized by Mikel Dufrenne as an imperialism of the eye and of the visual imagination) seems to be not very consistent with Merleau-Ponty’s conception of the body, a conception which aims at criticizing the traditional distinction of the different sensorial fields.  Such conception remains constant in Merleau-Ponty’s production, from one of his first great books, Phenomenology of Perception, to the late The Visible and the Invisible, in which we can find that "vision is palpation through the glance," a statement which seems hardly compatible with his anti-Berenson position: "Such distinction of the senses is rough. (…) We should get used to thinking that every visible is gained from the touchable, that every touchable being is promised somehow to visibility; and that there is a protrusion and a trespassing not only between what touches and what is touched, but also between the touchable and the visible which is encrusted in it; in the same way, reciprocally, the touchable itself is not a nothing of visibility, it is not devoid of visual existence. Since the same body sees and touches, the visible and the touchable belong to the same world."

According to Merleau-Ponty, touch and vision partially give the world.  And yet this part is complete, is a total part.  In my paper – also through a comparison with Georg Simmel’s pure-visibilistic interpretation of Berenson – I will try to clear up this apparent contradiction within Merleau-Ponty’s philosophy.

Pinotti - Le touchable et l’intouchable. Merleau-Ponty et Bernard Berenson

Il est bien connu que dans L’Œil et l’esprit  Merleau-Ponty exprime une sévère critique à l’égard de la théorie des tactile values (valeurs tactiles) que l’historien de l’art lithuanien (mais naturalisé américain) Bernard Berenson avait rendue célèbre à partir de son essai sur les Peintres florentins de la Renaissance, publié en 1896, et avait plusieurs fois reprise dans ses écrits successifs. Selon Berenson, les valeurs tactiles sont suscitées par des représentations d’objets solides qui présentent ces mêmes objets de telle manière que notre imagination soit stimulée à en sentir le volume, le poids, à se rendre compte de leur résistance potentielle, à mesurer par rapport à nous, de sorte que nous sommes encouragés (au niveau de l’imagination) à nous mettre en contact avec eux, à les saisir, à les embrasser ou à tourner autour d’eux.

Partant de la prémisse que la peinture ne célèbre que l’énigme de la visibilité, et du truisme selon lequel le monde du peintre n’est qu’un monde visible (voir, c’est avoir-à-distance), Merleau-Ponty en déduit que le jeune Berenson, quand il parlait d’une évocation des valeurs tactiles à propos des peintres italiens, était tout à fait sur la mauvaise voie. La peinture n’évoque rien, et surtout pas la tactilité; au contraire, elle fait autre chose: elle donne une existence visible à ce que la vision profane croit être invisible, elle fait en sorte qu’on n’ait pas besoin de sens musculaire pour saisir le caractère volumineux du monde.

À première vue, cette position pan-opticiste (critiquée par Mikel Dufrenne en tant qu’impérialisme de l’œil et de l’imagination visuelle) semble peu conciliable avec la conception merleau-pontienne du corps, encline à refuser la distinction traditionnelle des domaines sensoriels. Ce refus accompagne Merleau-Ponty de la Phénoménologie de la perception jusqu’à Le visibile et l’invisible, où la vision est présentée comme une palpation par le regard, affirmation qui s’avère peu compatible avec cette position anti-berensonienne. C’est le même corps qui touche et qui voit, le visible et le tangible appartiennent au même monde, ils donnent tout le monde en tant que parties totales.

Dans mon article, je chercherai  à élucider le sens de cette apparente contradiction dans l’œuvre de Merleau-Ponty en confrontant l’interprétation merleau-pontienne de Berenson avec la lecture purement visuelle que Georg Simmel propose de ses tactile values.

Davis - Ontologie et histoire dans les derniers travaux de Merleau-Ponty

L’ontologie que Merleau-Ponty met en chantier dans ses derniers écrits coïncide avec une poursuite des travaux sur la philosophie de l’histoire : l’une et l’autre sont inséparables. Il s’agissait de développer une réflexion existentielle-ontologique qui était fondamentalement politique. La prise de distance à l’égard des positions politiques de Sartre à partir de 1953, correspondit ainsi à une refondation existentielle-ontologique de la politique. C’est pourquoi il y aurait lieu de revenir sur les rapports de l’ontologie et de l’histoire dans les derniers travaux.

Nous procédons en trois temps. Dans une première partie nous examinons la conception existentielle de l’histoire, " l’histoire comme angoisse ", qui est celle de Merleau-Ponty jusqu’en 1956. La deuxième section aborde brièvement la notion d’histoire que Merleau-Ponty développe autour de 1958 et au-delà, et sa " conception d’une histoire qui différe de soi ". La dernière section de l’article se concentre sur les implications politiques des derniers travaux. Plus spécifiquement, j’y soutiens que l’ontologie terminale est constituée de manière telle que (1) elle est compatible avec les premières positions politiques de Merelau-Ponty, même si celles-ci ont bien-sûr évolué ; (2) elle prouve qu’une fondation ontologique de la politique est nécessaire ; et (3) cela n’implique aucune subordination de la politique à l’ontologie. C’est dire qu’il y a tout à la fois concurrence et interdèpendance, entre le projet d’une ontologie et celui d’une philosophie de l’histoire.

Davis - Ontologia e storia nelle ultime opere di Merleau-Ponty

Mentre nella sua ultima opera cominciava a sviluppare la sua ontologia, Merleau-Ponty continuò a lavorare su di una filosofia della storia. Le due cose per Merleau-Ponty andavano di pari passo. Egli stava sviluppando un’elaborazione ontologico-esistenziale che era intrinsecamente politica. In tal modo, come la sua politica divergette da quella di Sartre dopo il 1953, così fece la sua fondazione ontologico-esistenziale della politica. Ma ciò può essere meglio osservato esplorando la relazione tra storia e ontologia nelle ultime opere di Merleau-Ponty.

Il presente saggio consta di tre parti principali. La prima parte concerne una concezione esistenziale della storia ("storia come angoscia") che Merleau-Ponty sviluppò all’incirca fino al 1956. La seconda breve sezione introduce indirettamente la nozione di storia che Merleau-Ponty stava sviluppando intorno al 1958 e in seguito: "una nozione di storia che differisce da se stessa". La sezione finale del saggio tratta la questione delle implicazioni politiche delle sue ultime opere. Più specificamente, ritengo che l’unico sviluppo della sua ontologia sia tale per cui: 1) risulta coerente con la fondazione della sua precedente posizione politica, sebbene, naturalmente, la sua politica fosse cambiata; 2) egli dimostra che una fondazione ontologica della politica è necessaria 3) egli fa questo senza subordinare la politica all’ontologia. Tutto ciò è visibile nella concomitanza e interdipendenza dei suoi progetti di sviluppare un’ontologia accanto a una filosofia della storia.

Guchet - Merleau-Ponty, Simondon, and the Problem of an "Axiomatics of the Human Sciences": The Example of History and Sociology

Merleau-Ponty and Simondon have posed the problem of the relations between philosophy and the human sciences by eliminating the alternative of philosophy understood as one kind of knowledge among many other, understood as the synthesis of different kinds of knowledge, or philosophy understood as philosophy separated from the kinds of positive knowledge.  Simondon has formulated the program of a third way in terms of an "axiomatics" of the human sciences.  At first glance, this third way looks perplexing:  is an "axiomatics" of the human sciences an epistemology that is common to the kinds of positive knowledge?  If such is the case, then is the articulation of philosophy and kinds of positive knowledge constructed for the sole benefit of the kinds of positive knowledge, placing Simondon in the perspective of a new scientific positivism, and in a break with phenomenology and with Merleau-Ponty in particular (whose student he was)?

A separation between the different human sciences (psychology, sociology, history, etc.) would provide a fantastic representation of man; Simondon eliminates its very principle.  It is necessary rather to explore the true milieu of our concrete life, which has no knowledge of these partitions.  Notably, psychology and sociology are two abstract views on the entirety of our concrete psycho-social existence.  More profoundly, one must not oppose the works of freedom to objective explanations of human conduct.  Simondon refuses to make a separation between human initiatives and the objective conditions of action.  There is no choice between freedom without determination and the deterministic explanation of action (even if it is pscyo-social, and therefore is richer than univocal determinism, psychological or sociological determinism).  Simondon wanted to show the genuine milieu of our concrete existence, which is historical and which organizes the exchanges between the objective conditions of the moment and human freedom.  However, Simondon wanted to think the concrete conditions of a social progress, in the objective situation which is made for us by the great technological systems.  Far from validating the separation between the historcal, objective "process" (which is more and more determined by the extention of big technological networks) and political action, Simondon asks us to think the new forms that action might take when history is no longer conceivable as a dialectical process, to think the forms that action might take since the proletarian revolution cannot (in principle and not merely in fact) obviously set up humanity in the order of truth.  An "axiomatics" of the human science is not defined therefore as an epistemology common to types of positive knowledge that take man as their object.  Rather it is defined as a philosophy of history and as the foundation of a true humanism which eliminates the (ideological) division between the work of history understood as an objectively regulated process and political action.

In other words, as Merleau-Ponty said:  between human initiatives and the "weight of things."  By inscribing it into a reflection on the big technological networks, Simondon only extends the gesture sketched by Merleau-Ponty from Humanism and terror to the preface to Signs, by way of Sense and Nonsense and Adventures of the Dialectic.  On what conditions is a humanism possible today, a humanism that explores history as the true milieu of our concrete existence, undivided into objective conditions and the work of freedom?  The two thinkers observe that dialectical materialism no longer explains the breathing of history, and they observe that an attempt to think in a new way the conditions of a true progress requires the elaboration of an ontology equal to the paradoxes of history.  One has to recognize that today, forty year later, we have not advanced one step in the formation of the problem and that a confrontation between Merleau-Ponty and Simondon on the question of historical and social progress surely is not useless.

Guchet - Merleau-Ponty, Simondon e il problema di una "assiomatica delle scienze umane". L’esempio della storia e della sociologia.

Merleau-Ponty e Simondon hanno posto il problema dei rapporti tra filosofia e scienze dell’uomo rifiutando l’alternativa fra la filosofia come sapere tra i saperi, sintesi dei differenti saperi, e la filosofia come separata dai saperi positivi. Simondon ha formulato il programma di una terza via nei termini di una "assiomatica" delle scienze umane, il che a una prima analisi può lasciare qualche perplessità: una "assiomatica" delle scienze umane è un’epistemologia comune ai saperi positivi? E in questo caso, l’articolazione della filosofia e dei saperi positivi non si farebbe a solo beneficio dei secondi, mettendo Simondon nella prospettiva di un nuovo positivismo scientista, in rottura con la fenomenologia e in particolare con Merleau-Ponty (di cui egli fu allievo)?

Una separazione tra le differenti scienze umane (psicologia, sociologia, storia, ecc.) darebbe dell’uomo una rappresentazione fantastica, e Simondon ne rifiuta il principio stesso: bisogna piuttosto esplorare il vero ambito della nostra vita concreta, che non conosce queste suddivisioni. Psicologia e sociologia, in particolare, sono due vedute astratte sul tutto della nostra esistenza concreta, psico-sociale. Più profondamente, alle spiegazioni oggettive dei comportamenti umani (in termini di psico-sociologia), non bisogna opporre le opere della libertà: Simondon rifiuta di decidere tra le iniziative umane e le condizioni oggettive dell’azione; non si deve scegliere tra la libertà senza determinazioni e la spiegazione deterministica dell’azione (fosse anche psico-sociale, e dunque più ricca dei determinismi univoci, psicologici o sociologici). Simondon voleva mostrare l’ambito autentico della nostra esistenza concreta, che è storica e organizza gli scambi tra le condizioni oggettive del momento e la libertà umana. In questo modo, Simondon voleva pensare le condizioni concrete di un progresso sociale, nella situazione oggettiva che viene per noi creata dai grandi sistemi tecnici: lungi dall’approvare la separazione tra il "processo" storico oggettivo (sempre più determinato dall’estensione delle grandi reti tecniche) e l’azione politica, Simondon ci sollecita a pensare le forme inedite che potrebbe assumere l’azione, quando la storia non è più concepibile come un processo dialettico e la rivoluzione proletaria non può con ogni evidenza (di diritto e non solamente di fatto) collocare l’umanità nell’ordine della verità. Una "assiomatica" delle scienze umane non si definisce dunque come un’epistemologia comune ai saperi positivi che assumono l’uomo come oggetto, ma come una filosofia della storia e come il fondamento di un vero umanismo che rifiuta la divisione (ideologica) tra il lavoro della storia come processo oggettivamente regolato e l’azione politica. Ovvero, come diceva Merleau-Ponty, tra le iniziative umane e il "peso delle cose". Simondon non fa che prolungare, inscrivendolo in una riflessione sulle grandi reti tecniche, il gesto abbozzato da Merleau-Ponty da Umanismo e terrore alla prefazione di Segni, passando per Senso e non senso e Le avventure della dialettica. A quali condizioni è oggi possibile un umanismo che esplori la storia come l’autentico ambito della nostra esistenza concreta, non diviso fra le condizioni oggettive e il lavoro della libertà? I due pensatori constatano che il materialismo dialettico non spiega più il respiro della storia e che uno sforzo per pensare, con rinnovato impegno, le condizioni di un vero progresso sociale esige l’elaborazione di un’ontologia a misura dei paradossi della storia. Bisogna riconoscere che oggi, quarant’anni dopo, non abbiamo fatto un solo passo avanti nella formulazione del problema, e che un confronto con Merleau-Ponty e Simondon sulla questione del progresso storico e sociale non è sicuramente inutile.

Revault - Merleau-Ponty: The Philosopher and Politics

Is it possible to enter into Merleau-Ponty’s philosophy without taking into account his political texts, texts that were elaborated or "proposed" for certain occasions?  Although a number of commentators have declared that they found the relation between Merleau-Ponty’s "fundamental philosophy" and his political writings disconcerting, although certain went as far as sustaining that it was possible to analyze the path of his thought by abstracting it from this strain of his reflection, we will attempt to show here that Merleau-Ponty’s political writings belong to the very configuration of his thought, to his style of interrogation; we will attempt to inscribe the political and the historical in "the flesh of the world" and not to turn it into something that we question in a secondary and peripheral way.  As the debate with Sartre in The Adventures of the Dialectic shows, a genuine philosophical differend sustains Merleau-Ponty’s critique of Sartre’s concept of "engagement," and still more profoundly, what is at issue is a certain way of seeing the relation between philosophy and politics.  Criticizing the "survol" – surveying – and "surplomb" – overhanging – position of a certain hegemonic posture of philosophy, Merleau-Ponty aims his questioning at a "politicizing" that never announces itself entirely in the "prose of the true," at a "politicizing" that consists nevertheless in an ineliminable experience that all humans have shared in.  We have all shared in it, since it is nothing other than "the experience simultaneously of taking and of being taken into every order" (The Visible and the Invisible).

Revault - Merleau-Ponty: il filosofo e la politica

È possibile accostarsi alla filosofia di Merleau-Ponty senza chiamare in causa i suoi testi politici, filosoficamente elaborati o "discorsi" di circostanza? Benché numerosi commentatori si siano dichiarati sconcertati dal rapporto tra la "filosofia fondamentale" di Merleau-Ponty e i suoi scritti politici, benché alcuni siano arrivati a sostenere che sia possibile analizzare il cammino del suo pensiero facendo astrazione da questo versante della sua riflessione, si cerca qui di mostrare che inscrivere la politica e la storia nella "carne del mondo" e non farne l’oggetto di una indagine secondaria o periferica appartiene alla configurazione stessa del pensiero di Merleau-Ponty, al suo stile d’interrogazione. Come testimonia la discussione con Sartre nelle Avventure della dialettica, è un vero dissidio filosofico a sostenere la critica merleau-pontiana all’engagement sartriano e, ancora più profondamente, una veduta assunta su un certo modo di relazione tra filosofia e politica. Criticando la posizione di "sorvolo" o di "strapiombo" di un certo atteggiamento egemonico della filosofia, Merleau-Ponty s’interroga su una "maniera politica" che non si enuncia mai interamente nella "prosa del vero" ma che è nondimeno un’esperienza irrecusabile che tutti gli uomini condividono: infatti essa non è altro che "l’esperienza simultanea del prendente e del preso in tutti gli ordini" (Il visible e l’invisibile).

Hubeny - Humanism and Dialectic: The Sense of History in the Early Merleau-Ponty

This study aims to show that Merleau-Ponty’s investigation of the sense of history, which is one of his main themes in the " political " texts, is not a derivative aspect of his philosophy.  On the contrary, it is a problem that involves his most fundamental themes.  Thus, when Merleau-Ponty, in Humanism and Terror, brings the Marxist conception of history into a rapprochement with Gestalt theory, he indicates not only that there is a structure, a unity of meaning or a unity of style that can make each historical epoch intelligible, but also he indicates the suitable way in which to consider political action and strategy.  The notion of form (Gestalt) allows us in fact to grasp the relation of reciprocal envelopment between economic activities and ideology.  But also it invites us to conceive political action by means of a guideline, the guideline of the development of the proletariat.  The result is that, if Marxism can be defined as a " real humanism ," in the sense that it tends towards the " real recognition of man by man, " this humanism must be distinguished simultaneously from every " totalitarian " ideology and from every morality of non-violence.

The rapprochement between history and Gestalt calls for, on the one hand, a reflection on the dialectic.  Merleau-Ponty conceives the dialectic as a method of understanding, that is, as a mode of thought that allows us to grasp simultaneously the general orientation of a historical form and the contingency in which events fundamentally consist.  The condition nevertheless for this conception of the dialectic consists in distinguishing the true dialectic which allows us to conceive the interlacing of the course of things and human initiative (in other words, how it is that men make history as much as history makes men) from the pseudo-dialectic that supports Arthur Koestler’s conception of history and which implies that the heros of his novel, Darkness at Noon, are irresponsible.  In Koestler, history is not dialectical because it is beyond human control and exercises an external and incomprehensible force on them.  But the dialectic, for Merleau-Ponty, does not have entirely the same meaning as it did for Marx.  This is the case because the dialectic in Merleau-Ponty is based less on an analysis of economic conditions and modes of production, than on a phenomenological anthropology which aims to grasp man as the subject of history.  On the one hand, for Merleau-Ponty, the interest in the dialectic lies in that it allows us to think history by means of an orientation towards the future, without it being necessary to grasp this future as the realization of an end or as the resolution of the problem of human co-existence.  We then understand that the notion of form (Gestalt) was interesting because it allows us to think a " pregnancy " or a presence of a multiplicity of futures in the present, that is, a fecundity of history.  History involves meaning or sense, but this sense is immanent.  It is not situated in an end of history.  It is rather defined as " probable. "

The last part of this study would like to show the limits, but also the originality of the conception of history in the early Merleau-Ponty.  By seeking to grasp " the sense of history at its birth, " Merleau-Ponty’s thought separates itself from Hegel’s philosophy.  It does this through the fundamental position that it grants to contingency.  Merleau-Ponty break with the tradition that consists in conceiving history as universal history.  However, he still thinks by means of the perspectives and categories of this tradition, which explains the internal contradictions of Humanism and Terror.  These contradictions are found again finally in the " paradoxical " character of Merleau-Ponty’s humanism, a humanism by which he detaches himself already partially from Marxism.  History wants to be oriented towards an actual recognition of man by man, but this recognition does not equal an end of history, since what is rather at issue is to think the political as a perpetual and indeterminate battle.  The contradictions of Humanism and Terror manifest simultaneously the inadequacies of Merleau-Ponty’s thought, or rather the (Hegelian and Marxist) categories in which this thought is expressed in 1947, and the depth of this thought, which from the beginning hits on the fundamental paradoxes of political action and history.

Hubeny - Umanismo e Dialettica. Il senso della storia nel primo Merleau-Ponty

Questo studio ha l’obiettivo di mostrare come l’interrogazione sul senso della storia, che costituisce uno dei temi principali dei testi "politici" di Merleau-Ponty, non sia un aspetto derivato della sua filosofia ma, al contrario, un problema che coinvolge i suoi temi più fondamentali. Così, quando in Umanismo e terrore Merleau-Ponty mette a confronto la concezione marxista della storia e la Gestalttheorie, indica non solamente che c’è una struttura, un’unità di significato o di stile suscettibile di rendere intelligibile ogni epoca storica, ma anche la maniera in cui conviene progettare l’azione e la strategia politiche. La nozione di forma (Gestalt) permette infatti di afferrare la relazione di reciproco avvolgimento tra le attività economiche e l’ideologia, ma invita allo stesso tempo a concepire l’azione politica secondo una linea direttrice che è quella dello sviluppo del proletariato; di modo che, se il marxismo può essere definito un "umanismo reale", nel senso che tende verso il "riconoscimento effettivo dell’uomo da parte dell’uomo", deve anche essere distinto da ogni ideologia "totalitaria" e da ogni morale della non-violenza.

Il confronto della storia e della Gestalt richiama d’altra parte una riflessione sulla dialettica. Merleau-Ponty la concepisce come un metodo di comprensione, vale a dire una maniera di pensare che permette di cogliere a un tempo l’orientamento generale di una forma storica e la contingenza che è al fondo degli eventi. A condizione tuttavia di distinguere la vera dialettica, che permette di pensare l’intreccio del corso delle cose e dell’iniziativa umana (in altri termini, in quale senso sono gli uomini a fare la storia e, altrettanto, la storia a fare gli uomini), dalla pseudo-dialettica che sostiene la concezione della storia di Arthur Koestler e che fa degli eroi del suo romanzo, Buio a mezzogiorno (Darkness at noon), degli irresponsabili. La storia, in Koestler, non è dialettica, poiché sfugge agli uomini e agisce su di essi come una forza esterna e incomprensibile. Tuttavia la dialettica, per Merleau-Ponty, non ha lo stesso senso che per Marx, non fosse altro che per il fatto che si riconosce meno in un’analisi delle basi economiche e dei modi di produzione che in un’antropologia fenomenologica, la quale cerca di cogliere l’uomo come soggetto della storia. D’altra parte, l’interesse della dialettica, per Merleau-Ponty, è che essa permette di pensare la storia secondo un orientamento verso il futuro, senza che sia necessario afferrare questo futuro come la realizzazione di un fine o come la soluzione del problema della coesistenza umana. Si comprende allora come la nozione di forma (Gestalt) rivestisse l’interesse di pensare una "pregnanza" o una presenza dei futuri nel presente, vale a dire una fecondità della storia. La storia comporta del senso, ma questo senso è immanente, non è situato in un fine della storia, si definisce piuttosto come "probabile".

L’ultima parte di questo studio vorrebbe mostrare i limiti, ma anche l’originalità, della concezione della storia del primo Merleau-Ponty: cercando di afferrare "il senso della storia allo stato nascente", egli si allontana dalla filosofia di Hegel grazie alla posizione fondamentale che accorda alla contingenza. Merleau-Ponty rompe con la tradizione che consiste nel considerare la storia come storia universale. Tuttavia, egli pensa ancora secondo le prospettive e le categorie di questa tradizione, e questo spiega le contraddizioni interne di Umanismo e terrore, le quali si ritrovano infine nel carattere "paradossale" dell’umanismo di Merleau-Ponty mediante il quale egli già in parte si stacca dal marxismo. La storia si vuole orientata verso un riconoscimento effettivo dell’uomo per l’uomo, ma questo riconoscimento non equivale a un(a) fine della storia, poiché si tratta piuttosto di pensare la politica come una lotta perpetua e indeterminata. Le contraddizioni di Umanismo e terrore manifestano a un tempo le insufficienze del pensiero di Merleau-Ponty, o piuttosto delle categorie (hegeliane e marxiste) in cui esso si esprime nel 1947, e la profondità di questo stesso pensiero, che tocca sin dall’inizio i paradossi fondamentali dell’azione politica e della storia.

Sjoholm - L’expréssion d’un autre en moi (première partie)

Dans ses cours du Collège de France consacrés à la Nature, Merleau-Ponty mobilise la psychanalyse et la notion psychanalytique de pulsion, pour examiner le statut d’ " entre-deux " de la notion de " structure " vitale. Le corps que nous habitons est un corps libidinal. Les structures vitales que nous habitons sont sous-tendues par des investissements libidinaux. Le désir implique une forme d’incorporation intentionnelle. Pour Merleau-Ponty la relation entre corporéité et incarnation est asymétrique, si bien que la situation de notre incarnation représente une limite invisible qui ne peut être transgressée. Cependant la conception merleau-pontyenne de la libido suggère que le désir serait conforme au système sensoriel du corps, d’une manière que la psychanalyse ne peut que refuser. Il y aurait lieu alors d’approfondir la disjonction avancée par Merleau-Ponty, entre incarnation et corporéité.

Sjoholm -L’espressione di un altro in me (parte prima)

Nei corsi del Collège de France dedicati al concetto di natura, Merleau-Ponty usa la psicoanalisi e la nozione psicoanalitica di pulsione allo scopo di esaminare la condizione di "intermezzo" della nozione di "strutture" di vita. Il corpo che abitiamo è un corpo libidinale. Le strutture di vita che abitiamo sono determinate da investimenti libidinali. Il desiderio implica una sorta di incorporazione intenzionale. Merleau-Ponty ritiene che la relazione tra corporeità e incarnazione sia asimmetrica e mostra come la nostra situazione di incarnazione rappresenti un limite invisibile che non possiamo trascendere. Tuttavia, l’elaborazione merleau-pontiana della nozione di libido suggerisce che il desiderio sia congruente coi sistemi sensoriali del corpo in una maniera che la psicoanalisi negherebbe. La disgiunzione tra incarnazione e corporeità.

Vallier - La jointure indiscernable. Structure, signification, et animalité en La nature de Merleau-Ponty

Le premier cours de Merleau-Ponty consacré au " Concept de Nature ", en 1956, s’ouvre par un aperçu historique et critique concernant l’avènement et le fonctionnement de ce concept en philosophie, et commence avec sa définition cartésienne, qui reste essentielle aussi bien pour la méthode des sciences de la nature que pour la manière dont la philosophie envisage ses problèmes fondamentaux. Il en va tout autrement du second cours, professé en 1957. De fait on pourrait se demander en lisant les notes de ce cours quelle signification philosophique peuvent avoir l’axolotl, l’oursin, la naissance de l’oison, les parades sexuelles du crabe ou les ails colorées du papillon, et pourquoi Merleau-Ponty, dans ses cours du Collège de France, accorde une telle importance à ces recherches menées du côté des sciences de la vie. On pourrait s’interroger sur le bénéfice que Merleau-Ponty retire de ces analyses pour son travail phénoménologique en général, et plus particulièrement pour la formation de sa dernière ontologie. La thèse que je défends dans cet article, c’est que l’importance philosophique de ces analyses ne se révèle que si on les replace dans l’horizon plus large d’une interrogation philosophique entamée dès la Structure du comportement. Dans le cadre d’une réflexion critique sur la Gestalt, conçue dans cet ouvrage à la fois comme structure et comme signification, Merleau-Ponty valorise le rôle de la structure, comprise comme la " jonction d’une idée et d’une existence indiscernables ". L’investigation sur l’animalité en revanche revisite la question de la Gestalt en faisant porter l’accent cette fois sur la signification, comprise comme différenciation. De ce point de vue les analyses contenues dans le second cours sur la nature constituent un approfondissement de la problématique engagée depuis le début ; Merleau-Ponty revient sur ses premières intuitions pour les inscrire dans un registre ontologique. Ce faisant, il poursuit la description des rapports de la conscience et de la nature en mettant au jour les fondements d’un nouveau concept de nature, de type non-cartésien, et qui finit par exprimer une ontologie inédite. Examinant alors l’enseignement proprement philosophique que Merlau-Ponty retire de ces analyses de l’animalité, je tente de montrer que s’y annonce une nouvelle ontologie.

Vallier - La congiunzione indiscernibile. Struttura, significazione e animalità in La natura di Merleau-Ponty

Mentre il primo corso di Merleau-Ponty su "Il concetto di Natura", del 1956, offre al lettore un’indagine e un’interrogazione storiche sull’istituzione e sull’azione di tale concetto in filosofia a partire da Cartesio, il quale ne offre una caratterizzazione che rimane decisiva per il metodo delle scienze naturali e per il modo in cui la filosofia pone i suoi problemi fondamentali, il secondo corso, del 1957, ha un carattere affatto diverso. Infatti, prendendo visione delle note di corso, ci si può chiedere quale significato filosofico rivestano gli axolotl, i ricci di mare, le oche neonate, la cerimonia sessuale dei granchi e le ali variopinte delle farfalle, e perché Merleau-Ponty assegni un posto così preminente, nei suoi corsi al Collège de France, alla ricerca condotta dalle scienze teoriche della vita. Ci si potrebbe chiedere quale sia il contributo di questi studi all’opera fenomenologica di Merleau-Ponty in generale e alla formazione della sua ultima ontologia in particolare. La tesi del mio saggio è che il significato filosofico di questi studi può essere compreso solo se essi vengono collocati entro l’orizzonte più vasto di un’incessante interrogazione

Scarso - Intersubjectivity and the Unconscious in Merleau-Ponty’s Sorbonne Lectures

In Merleau-Ponty’s Sorbonne Lectures we find the traces of a strong interest in intersubjectivity and the problem of the relation to the other. Merleau-Ponty held that Lévi-Strauss’s anthropology represented a brilliant approach to social facts, provided one pays great attention to the meaning of notions such as the unconscious and structure. For Merleau-Ponty, unlike Lévi-Strauss, the unconscious is not to be considered a core of universal and atemporal laws, common to every man and woman, but rather a "non-thematized lived experience" (un vécu non thématisé). Structures do not refer to a universal invariant pertaining to human spirit, but represent meaning nuclei that are ductile and inserted in the historical fabric; they represent a sort of social Gestalten. A social science conceived in this way can usefully interact with philosophy, which too often believes that the concepts it uses are obvious and transparent. The comparison with the social sciences and the reflection on the inescapable insertion of every experience in a social, cultural, and historical ground, challenges, on one hand, the possibility of an access to a "vertical" and objective universal, by philosophy as well as by sciences themselves.  On the other, the comparison opens the way to a new idea of truth, an idea of truth that is no longer based on objectivity but rather on a broader intersubjectivity. We are able to reach truth not despite our social, cultural and historical situatedness, but through it.  My body, my language and my culture detach me from the totality of being, but, "at the same time," as Merleau-Ponty says, they relate me to it. So, the very space of philosophy is the consciousness of the intersubjectivity which connects the subject to the world and to others, and which binds us, little by little, to all of history.

Scarso - Intersubjectivité et inconscient dans les cours de Merleau-Ponty à la Sorbonne

Les cours de Merleau-Ponty à la Sorbonne témoignent d’un vif intérêt pour l’intersubjectivité et le problème de la relation à autrui. Le philosophe considérait que l’anthropologie de Lévi-Strauss représentait une approche particulièrement éclairante des faits sociaux, pourvu qu’on se rende attentif à des notions comme celles d’inconscient et de structure. Pour Merleau-Ponty, à la différence de Lévi-Strauss, l’inconscient ne doit pas être défini comme un noyau de lois universelles et atemporelles, communes à tous les hommes et toutes les femmes, mais plutôt comme " un vécu non thématisé ". Les structures ne se réfèrent pas à un invariant appartenant à l’esprit humain, mais représentent des nuclei de significations, malléables et insérés dans le tissu de l’histoire, qu’on pourrait caractériser comme des Gestalten sociales. Une science sociale conçue de cette manière pourrait utilement discuter avec la philosophie, qui a trop souvent tendance à croire à l’évidence et à la transparence de ses propres concepts. Le rapprochement avec les sciences sociales et la prise en compte de l’inscription native de toute expérience dans un socle social, culturel et historique, d’un côté récuse la possibilité, pour la philosophie comme pour les sciences elles-mêmes, d’accéder à un universel " vertical " et objectif, mais d’un autre côté fait droit à une nouvelle idée de la vérité, qui ne serait plus fondée sur l’objectivité mais sur une intersubjectivté élargie. Nous sommes capables d’accéder à la vérité non pas en dépit de notre situation sociale, culturelle et historique, mais grâce à elle : mon corps, mon langage et ma culture me séparent de la totalité de l’être, mais en même temps me lient à elle, comme dit Merleau-Ponty. Ainsi il revient à la philosophie de concevoir l’intersubjectivité comme ce qui rattache le sujet au monde et aux autres, et qui nous relie, de proche en poche, à l’histoire entière.

Toadvine - Chiasme et clair-obscur. La logique de l’épochê

Dans ses derniers travaux Merleau-Ponty tente de repenser la logique de l’Épochê, autrement dit le rapport de la phénoménologie avec son autre, au carrefour de trois thèmes : la phénoménologie de la phénoménologie, la réappropriation de l’histoire de la philosophie, et le développement d’une ontologie de la nature. Alors que la méthode constitutive de la phénoménologie, selon l’analyse qu’en donne Gurwitsch, rejoint le postulat cartésien de l’homogénéité et de la continuité, Merleau-Ponty dans ses premiers travaux interprète la réduction transcendantale à partir de l’équivalence de l’être et de l’apparaître, autrement dit à partir d’un " positivisme phnoménologique ". La réduction, comme le doute cartésien, doit déboucher sur une refondation ontologique du monde ou, plus précisément, signifie l’impossibilité d’une totale révocation en doute du monde. Cependant cette constitution corrélative du sujet et du monde au sein d’une ontologie du sens ne connaît plus ni dehors ni limite, avec cette conséquence que le non-sens devient impossible. Sur cette voie la phénoménologie ne peut rencontrer son autre, et se ferme à toute reconnaissance du sublime. Alors qu’il en vient à rejeter cette voie cartésienne de la phénoménologie, Merleau-Ponty assigne à la phénoménologie la tâche de révéler ce qui lui résiste ou ce qui constitue sa limite non-phénoménologique. Cette dernière conception de la phénoménologie – propédeutique à une rencontre avec le sublime naturel – n’est pas sans rappeler la thématique de la dialectique platonicienne. La possibilité d’une dialectique qui puisse ressaisir sa propre ombre se révèle pour la première fois dans le mythe platonicien da la Caverne, et la mise au jour de certains aspects de ce mythe viennent relancer l’interrogation de la phénoménologie sur elle-même. Prenant modèle sur la Caverne de Platon, Merleau-Ponty redéfinit une médiation immanente, dans les termes de la réflexion charnelle de la chair du monde.

Toadvine - Chiasma e chiaroscuro. La logica dell’epoché

L’opera dell’ultimo Merleau-Ponty è consacrata al ripensamento della logica dell’epoché, della relazione tra la fenomenologia ed il suo altro, alla confluenza di tre temi: la fenomenologia della fenomenologia, l’appropriazione della storia della filosofia e lo sviluppo di un’ontologia della natura. Mentre l’approccio metodologico costitutivo della fenomenologia comporta i presupposti cartesiani dell’omogeneità e della continuità, come illustra l’analisi della cosa di Gurwitsch, l’opera del primo Merleau-Ponty interpreta la riduzione trascendentale come equivalenza di essere ed apparire, vale a dire come un "positivismo fenomenologico". La riduzione, come il dubbio cartesiano, deve condurre ad un ristabilimento ontologico del mondo, o, più precisamente, rivelare l’impossibilità del dubbio radicale del mondo. Ma questa bilaterale costituzione di soggetto e mondo in un’ontologia del senso manca di qualsiasi esterno o limite, con la conseguenza che il non-senso diventa impossibile. Su questo modello la fenomenologia non può incontrare il suo altro e manca di qualsiasi apertura al sublime. Poiché giunge a rifiutare questo modello cartesiano di fenomenologia, Merleau-Ponty riorienta la fenomenologia verso il compito di svelare la propria resistenza o il proprio limite non-fenomenologico. Quest’ultima concezione della fenomenologia – propedeutica ad un incontro con il sublime naturale – risuscita la tematica della dialettica platonica. La possibilità di una dialettica che catturi la propria ombra è incipiente nel mito platonico della caverna ed il recupero di aspetti di questo mito stimola l’autointerrogazione della fenomenologia. Prendendo come proprio modello la caverna platonica, Merleau-Ponty ripensa la mediazione immanente nei termini di un carnale autocontatto della carne della terra.

Ciaramelli - Note sur le désir et sa limite chez Merleau-Ponty et Levinas

La limite du désir est l’inaccessibilité immédiate de l’origine, lieu symbolique des racines et de l’identité. La pensée spéculative se subordonne au primat de l’intuition intellectuelle, dont la prétention fondamentale est la  vision immédiate et directe de l’unité originaire. La possession de celle-ci, pour prétendue et illusoire qu’elle soit, comble le désir, et en fin de compte le paralyse. Levinas et Merleau-Ponty, qui insistent chacun à sa façon sur l’impossibilité de l’intuition comme "principe des principes" de la recherche philosophique, radicalisent la phénoménologie husserlienne et l’ouvrent à la pensée de l’altérité comme source et fonds inépuisable du désir.

Ciaramelli - A Note on Desire and its Limit in Merleau-Ponty and Levinas

The limit of desire consists in the immediate inaccessibility of the origin, of the symbolic place of roots and identity.  Speculative thought subordinates itself to the primacy of intellectual intuition, whose fundamental pretense consists in the immediate and direct vision of the originary unity.  The possession of the originary unity, even though it is pretense and illusory, fulfils desire and ultimately paralyzes it.  Levinas and Merleau-Ponty, each of whom insists in his own way on the impossibility of intuition as "the principle of all principles" for philosophical investigation in general, radicalize Husserlian phenomenology and open it to the thought of alterity as the source and inexhaustible ground of desire.

Froman - " La parole comme praxis "?

Nous nous proposons dans cet article d’éclairer les lignes directrices du Visible et l’invisible à partir des notes de cours du Collège de France de 1958-59, consacrées à " La philosophie aujourd’hui ". Les contradictions et les paradoxes que Merleau-Ponty exhume en approfondissant les derniers travaux de Husserl nous mènent vers une déconstruction (heideggérienne) des conceptions longtemps dominantes de la perception, et viennent confirmer pour Merleau-Ponty " l’étrange distance dans la proximité " qui caractérise intrinsèquement et définitivement la perception. Cette " étrange distance dans la proximité " place la question du langage au premier plan et lui confère une importance décisive, comme c’était le cas dans les derniers travaux de Heidegger. On connaît le résultat de cette réflexion concernant la lecture merleau-pontienne de Husserl : refus du contexte des " actes intentionnels ", et récusation du sens de " l’immanence transcendantale ". Où nous mènent en revanche ces analyses, en ce qui concerne la lecture merleau-pontienne de Heidegger ? Significatif nous semble à cet égard l’intérêt de Merleau-Ponty pour un silence qui ne serait pas le contraire du langage, qui réenvelopperait la parole, et  dont dépendrait le silence allégué de la " coïncidence psychologique ". Un tel indice, au fil de la discussion menée avec Heidegger dans les notes de cours, nous mène à la dynamique de la " réversibilité " puis à la conception merleau-pontienne de la " chair ", qu’il définit comme une " rencontre originaire " impliquant un " anonymat de moi-même ". On trouve dans la lecture heideggerienne d’Héraclite certains échos à ce thème. Pour Merleau-Ponty, la déconstruction du sens classique de la perception rend possible à la fois une approche de la praxis qui ne signifie pas une rechute dans la métaphysique de la présence, et l’ouverture d’un horizon d’avenir pour la philosophie.

Froman - "Parola come prassi"?

Questo saggio è una lettura di tratti cruciali de Il visibile e l’invisibile alla luce delle note relative al corso "La philosophie aujourd’hui", tenuto al Collège de France nel 1958-59. Contraddizioni e paradossi che Merleau-Ponty riscontra nell’approfondire gli ultimi lavori di Husserl portano a una (heideggeriana) di-struzione della concezione dominante della percezione, nonché alla conferma merleau-pontiana di una "strana distanza nella prossimità" intrinseca alla percezione e da essa irremovibile. Questa "strana distanza nella prossimità" mette in evidenza quella del linguaggio come una questione di suprema importanza, come lo è negli ultimi lavori di Heidegger. Il risultato di questi sviluppi è noto per quanto riguarda la lettura merleau-pontiana di Husserl: fondamentalmente, un rifiuto del contesto degli "atti intenzionali" come pure una sfida al senso di "immanenza trascendentale". Ma dove condurrebbero quegli sviluppi rispetto alla lettura merleau-pontiana di Heidegger? Un indizio si trova nell’interesse di Merleau-Ponty per un silenzio che non è il contrario del linguaggio e che ri-avvolge la parola alla quale rinvia il preteso silenzio della "coincidenza psicologica". Sotto la guida della discussione di Heidegger nelle note di corso, questo indizio porta, attraverso la dinamica della "reversibilità", alla concezione merleau-pontiana della chair, la "carne", che egli caratterizza come un "incontro originario" che implica un "anonimato innato in me stesso". Un accenno a questo tema si trova nella lettura heideggeriana di Eraclito. Per Merleau-Ponty, la di-struzione del senso ordinario della percezione permette sia un approccio alla questione della prassi che non ricada nella metafisica della presenza, sia un’apertura a un futuro della filosofia.

Murphy - Une association inattendue. Foucault et Merleau-Ponty devant la phénoménologie et sa morale

Je reviens pour commencer sur l’accusation selon laquelle Foucault, ainsi que les théoriciens de son obédience, se seraient rendus complices d’un dangereux quiétisme. La définition foucaldienne du sujet, selon ses objecteurs, enlèverait au sujet toute initiative et toute aurtorité, et nous condamnerait en apparence à la résignation et au défaitisme. Pour défendre Foucault je me tourne alors vers sa polémique avec les phénoménologues, à commencer par Merleau-Ponty. Bien que les interlocuteurs de Foucault dans l’Archélogie du savoir restent largement anonymes, il est clair que la critique foucaldienne de " l’histoire des idées " revient bien souvent à une confrontation avec la pensée de Merleau-Ponty. C’est en réaction contre les grands thèmes qui articulent cette histoire des idées - à savoir la genèse, la continuité, et la totalisation  - que Foucault définit sa méthode archéologique, qui diffère radicalement de l’analyse historique traditionnelle. A travers ce dialogue avec Merleau-Ponty il devient clair que Foucault, lorsqu’il critiquait la subjectivité transcendantale, ne cherchait à inspirer ni la résignation ni l’apathie, mais plutôt une vigilance éthique et politique concernant la violence que pouvait induire le mode de pensée phénoménologique.

Dans cet article nous nous proposons d’explorer à la fois les concepts de continuité et de discontinuité qui organisent chez Merleau-Ponty l’élaboration du sens de l’histoire, et d’examiner la manière dont Foucault critique, et finalement se réapproprie, le sens de la phénoménologie. Si l’on revient sur l’ensemble du corpus merleau-pontien, on y trouve juxtaposées l’unité et l’éclatement. Alors que Merleau-Ponty parle dans L’œil et l’esprit d’une histoire fondamentale qui unifie le discours, dans Le visible et l’invisible une notion comme la Nichturpräsentierbarkeit semble évoquer au contraire une négativité immanente au visible, une négativité qui autorise l’éclatement, la disjonction et le morcellement. Une telle interprétation du rapport entre le visible et l’invisible semble mettre en question la critique de Merleau-Ponty que propose Foucault. Mais la critique de la pensée de Foucault est à son tour mise en question à partir de l’examen de sa propre réappropriation du sens.

Murphy - Strana Compagnia. Foucault e Merleau-Ponty sulla fenomenologia e la sua etica

Comincio con l’accusa secondo la quale Michel Foucault e quei teorici che lavorano nella sua scia sarebbero coinvolti in un pericoloso quietismo. L’elaborazione foucaultiana del soggetto, secondo i suoi critici, negherebbe l’autorità e l’azione soggettive, e sembrerebbe condannare alla rassegnazione e al disfattismo. Mi volgo qui alla polemica di Foucault coi fenomenologi, in particolare con Merleau-Ponty, allo scopo di difenderlo dalla sopra menzionata accusa. Sebbene gli interlocutori di Foucault nella sua Archeologia del sapere rimangano largamente anonimi, è plausibile sostenere che la sua critica alla "storia delle idee" rappresenti in varie maniere uno scontro col pensiero di Merleau-Ponty. È contro i grandi temi di questa storia delle idee – cioè genesi, continuità, totalizzazione – che Foucault ricorre al metodo archeologico, il quale differisce radicalmente dalle tradizionali analisi storiche. In un confronto con Merleau-Ponty, diventa chiaro che la critica foucaultiana alla soggettività trascendentale costituisce un tentativo di ispirare niente affatto rassegnazione o apatia, ma piuttosto una vigilanza etica e politica che circondi la violenza che il pensiero fenomenologico potrebbe decretare.

Questo saggio è dedicato all’esplorazione della simultanea continuità e discontinuità che informano l’elaborazione merleau-pontiana del senso storico, e all’esame della critica nonché della finale riappropriazione, da parte di Foucault, del senso fenomenologico. Nel corpus merleau-pontiano si trovano riferimenti a una coincidente unità e dispersione. Mentre in L’occhio e lo spirito Merleau-Ponty parla di una storia fondamentale che unifica il discorso, in Il visibile e l’invisibile la nozione di Nichturpräsentierbarkeit sembra invocare la negatività immanente che soggiace al visibile, una negatività che implica dispersione, disgiunzione, smembratezza. Una tale interpretazione della relazione tra il visibile e l’invisibile sembra rendere problematica la critica foucaultiana a Merleau-Ponty. La critica di Foucault è a sua volta problematizzata attraverso un esame della sua riappropriazione del senso (sens).

Slatman - Descartes’s Unthought: A Reading of the Course Notes for L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui

The course called "L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui" (1961), published in 1996 in the collection Notes de cours 1959-1961, presents an interpretation of Descartes that is unique in Merleau-Ponty’s work.  In nearly all of the texts in which he refers to Descartes, Merleau-Ponty presents Descartes as a two-faced philosopher.  There is the Descartes of the pure understanding and the Descartes of soul-body composition, the Descartes of the natural light and the Descartes of natural inclination.  The line of demarcation between these two types of thought is situated in the Meditations themselves.  The first three Meditations put man’s nature in relief as the pure natural light, while the last three understand this nature on the basis of natural inclination.  This bifurcation corresponds to what Merleau-Ponty in his later works calls, taking up one of Blondel’s words, "the diploply of Cartesian ontology."  Now, by simultaneously dispelling with the empiricist and intellectualist interpretations Merleau-Ponty’s thought aims precisely at surpassing such a double-sighted ontology.  The alternate solution would be "the ontology of painting."  Indeed, in "Eye and Mind" Merleau-Ponty presents us with this ontology that is neither a surveying philosophy nor a philosophy of coincidence, but which is rather a philosophy that occurs as the communication with Being by means of vision.  In this text, the "Cartesian diploply" is therefore surmounted by an analysis of the body, of vision, and of the painting, by an analysis that dispels with Cartesian thought.  In contrast, "L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui," especially the second part, offers an entirely different image of Descartes.  One can see there the articulation of a certain unthought of Descartes, since it is really in the Meditations themselves that Merleau-Ponty now finds the roots of an ontology that is opposed to the ontology of simple, clear and distinct beings.  Henceforth, he fights against Descartes by bringing into relief something implicit in Descartes’s own thought.  We can open up this unthought if we follow the evolution of Descartes’s thought and if we situate it in a phenomenological perspective.

We would like to show how Merleau-Ponty’s reading in "L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui" proceeds from an ontology understood as a positivism of vision in order to arrive at an ontology of painting or an ontology of aesthesiology. Our aim is the bring to light the fact that the Cartesian ontology is not necessarily opposed to "ontology today."  Our reading takes place in two steps.  First, we pause at the phenomenon of the "positivism of vision" and its ontological presupposition as Merleau-Ponty outlines it in Descartes’s first works:  The Rules for the Direction of the Mind (1628) and Optics (1637).  Second, we will see that Descartes’s Meditations (1641), while accentuating the experience of the cogito, imply a metamorphosis of this ontology of vision.  The phenomenological reading of the Meditations reveals a transformation of the natural light.  While in The Rules and in Optics the natural light is presented as clear and distinct thought, it loses its clarity and distinction in the Meditations.  We are able to understand this transformation on the basis of the genuine sense of the "discovery," in the Second Meditation, of the cogito as the first certainty.  According to Merleau-Ponty, the evidence of the cogito is not that of the essence but that of the existence of my thinking nature.  What is at issue is an appearance of my thinking nature to myself.  However this appearance does not present a clear and distinct idea of my nature; rather this appearance consists in its execution.    The natural light is the evidence of this non-dissimulation to myself, but, since it never results in a pure essence of myself, this light really involves shadows.  It is as much obscure as it is luminous.  This interpretation situates the natural light in the perceptual faith of phenomenology.  For, the idea of the natural light involving a self-obscurity opens the way for the development of a theory of vision based on reversibility.  In this sense, what is also at issue is to catch a glimpse of what this interpretation of Descartes adds over and above the one found in "Eye and Mind."  Actually, Cartesian ontology is quite simply not opposed to the ontology of painting (or to "ontology today").

Slatman - L’impensato di Cartesio. Una lettura delle note di corso su L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui

Il corso su L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui (1961), pubblicato nel 1996 nella raccolta Notes de cours 1959-1961, presenta un’interpretazione di Cartesio che è unica nell’opera di Merleau-Ponty. In quasi tutti i testi merleau-pontiani che fanno riferimento al razionalista francese, questi è presentato come un filosofo dal duplice volto: c’è il Cartesio dell’intelletto puro e quello del composto anima-corpo; il Cartesio della luce naturale e quello dell’inclinazione naturale. La linea di demarcazione tra questi due tipi di pensiero è situata nel testo stesso delle Meditazioni. Le prime tre sottolineano la natura dell’uomo in quanto luce naturale pura, mentre le ultime tre comprendono questa natura a partire dall’inclinazione naturale. Questa biforcazione corrisponde a ciò che Merleau-Ponty chiama nei suoi ultimi testi, secondo l’espressione di Blondel, "la diplopia dell’ontologia cartesiana". Ora, discostandosi a un tempo dalle interpretazioni empiristiche e intellettualistiche, il pensiero merleau-pontiano ha appunto come scopo quello di superare una tale ontologia a doppia veduta. La soluzione di ricambio sarebbe "l’ontologia della pittura". È infatti L’occhio e lo spirito a presentarci questa ontologia che non è né una filosofia di sorvolo né una filosofia della coincidenza, ma una filosofia che si realizza come comunicazione con l’essere mediante la visione. In questo testo, la "diplopia cartesiana" è dunque superata attraverso un’analisi del corpo, della visione e della pittura, analisi che si allontana dal pensiero cartesiano. Proprio su questo punto, il corso L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui, soprattutto nella seconda parte, offre un’immagine del tutto diversa. Vi si può trovare l’articolazione di un certo impensato di Cartesio, poiché è proprio nel testo stesso delle Meditazioni che adesso Merleau-Ponty trova le radici di un’ontologia che si oppone a quella degli esseri semplici, chiari e distinti. Oramai, egli combatte Cartesio rilevando qualcosa di implicito nel suo proprio pensiero. Si può liberare questo impensato se si segue l’evoluzione del pensiero cartesiano situandolo in una prospettiva fenomenologica.

Desideriamo mostrare come nel corso L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui la lettura di Merleau-Ponty proceda da un’ontologia intesa come positivismo della visione per arrivare a un’ontologia della pittura o ontologia estesiologica. Il nostro obiettivo è mostrare allora che l’ontologia cartesiana non si oppone necessariamente all’ontologia "odierna". La nostra lettura si articola in due tempi. Innanzitutto, ci soffermiamo sul fenomeno del "positivismo della visione" e sul suo presupposto ontologico come Merleau-Ponty lo descrive con riferimento alle prime opere di Cartesio: le Regole per la guida dell’intelligenza (1628) e la Diottrica (1637). In secondo luogo, si vedrà come il testo cartesiano delle Meditazioni (1641) implichi, mettendo l’accento sull’esperienza del cogito, una metamorfosi di questa ontologia della visione. La lettura fenomenologica delle Meditazioni rivela una trasformazione della luce naturale: mentre essa si presenta nelle Regole per la guida dell’intelligenza e nella Diottrica come pensiero chiaro e distinto, perde nelle Meditazioni la sua chiarezza. Questa trasformazione si può comprendere a partire dal vero senso della "scoperta", nella seconda meditazione, del cogito come prima certezza. Secondo Merleau-Ponty, l’evidenza del cogito non è quella dell’essenza, ma quella dell’esistenza della mia natura pensante: si tratta di un’apparizione della mia natura pensante a me stesso. Tuttavia questa apparizione non offre un’idea chiara e distinta della mia natura; consiste piuttosto nella sua esecuzione. La luce naturale è l’evidenza di questa non-dissimulazione a me stesso ma, poiché non conduce mai a un’essenza pura di me stesso, questa luce ha le sue ombre. È altrettanto oscura quanto luminosa. Questa interpretazione colloca la luce naturale nella fede percettiva della fenomenologia. Infatti, l’idea di luce naturale che porta in sé un’oscurità apre il cammino per sviluppare una teoria della visione basata sulla reversibilità. In tal senso, si tratta anche di intravedere il sovrappiù di questa interpretazione di Cartesio in rapporto a quella de L’occhio e lo spirito. Effettivamente, l’ontologia cartesiana non si oppone semplicemente a quella della pittura (o quella "odierna").

Carbone - Ad limina philosophiae. Merleau-Ponty et l’Einleitung à la Phänomenologie des Geistes

" La vraie philosophie se moque de la philosophie, est a-philosophie " : c’est dans ces termes que Merleau-Ponty introduit ses réflexions sur la philosophie dans le cours intitulé Philosophie et non-philosophie depuis Hegel (1960-1961), où le concept de " non-philosophie " veut rendre compte d’une série d’efforts inaugurée par Hegel : efforts pour élaborer une philosophie qui, enfin, établisse un rapport étroit avec ce que traditionnellement la philosophie a plutôt déprécié : " l’apparaître ", " l’en-deçà ", " l’existence ", la " vie ", "l’expérience ", c’est-à-dire précisément la non-philosophie. Efforts pour élaborer une philosophie qui justement à travers la non-philosophie devienne " a-philosophie ", au sens où philosophie et non-philosophie ne s’opposent pas mais sont en rapport comme l’avers et le revers d’une même médaille.

Pour Merleau-Ponty, c’est donc Hegel qui a inauguré " une histoire de l’a-philosophie " en ce sens, en posant dans la Phänomenologie des Geistes le principe fondamental selon lequel " c’est par une phénoménologie […] qu’on accède à l’absolu […] parce que l’absolu ne serait pas absolu s’il n’apparaissait ainsi ".

Il s’agit précisément dans cet article d’examiner attentivement les notes de Merleau-Ponty consacrées à l’Einleitung à la Phänomenologie des Geistes. La confrontation de Merleau-Ponty avec ces pages de Hegel, centrées sur la question des rapports entre le savoir et l’absolu, s’inscrit dans la perspective générale d’une réflexion sur le problème de la connaissance, qui attendait encore de trouver des développements substantiels dans Le visible et l’invisible. En ce sens, comme l’écrit Claude Lefort, " sans doute peut-on dire qu’il projette dans Hegel ses propres questions ; mais il nous donne tout autant l’impression de les avoir apprises à son contact ".

Nous pouvons dire que la première de ces questions se formule comme suit : quel commencement pour le savoir ? On situe ce commencement dans la doxa de l’attitude naturelle (laquelle est en réalité Urdoxa), dans l’Erfahrung comme " ouverture " au monde. Aux yeux de Merleau-Ponty, l’ombre de Hegel rejoint donc celle de Husserl, ce qui l’amène à voir, dans la conception de la phénoménologie que mettent en évidence les paragraphes 14 et 15 de l’Einleitung, un " bouleversement " de la philosophie ; à tel point que Merleau-Ponty peut dire que la philosophie " semble [avec Hegel] entrée dans les phénomènes ", c’est-à-dire semble s’être convertie en " a-philosophie ".

Mais au paragraphe 15 de l’Einleitung, Merleau-Ponty voit se dessiner une modification radicale dans la manière de prendre en compte l’expérience, et aussi, du coup, dans la manière de caractériser l’attitude philosophique. Nous pouvons donc dire que la deuxième des questions posées par le commentaire de Merleau-Ponty se formule comme suit : quel savoir absolu ? Merleau-Ponty comprend ce dernier autrement que comme un " point " (Hegel) de vue de survol, qui embrasse tout, celui-là même que la philosophie réflexive a choisi d’occuper et qui est censé déployer intégralement dans la réflexion, après coup, le paysage de la vie irréfléchie. Toutefois, à lire son commentaire de Hegel, une affinité semble se faire jour entre d’un côté l’idée d’une philosophie centrée sur le concept de "surréflexion ", que Merleau-Ponty voulait élaborer dans Le visible et l’invisible, et de l’autre la conception du savoir absolu suggérée selon lui par certains paragraphes de l’Einleitung, dans lesquels le savoir absolu se présente comme conscience de la réversibilité de la réflexion et de l’irréfléchi, là où se produit le déploiement de la chose même.

Mais alors, et c’est la troisième question que pose le commentaire de Merleau-Ponty, à quoi pourrait bien ressembler le langage de la philosophie ? Pourrait-il être encore le langage du concept, terme dont l’équivalent allemand renvoie étymologiquement au geste de saisir, dès lors que " l’idée du chiasme " implique que " tout rapport à l’être est simultanément prendre et être pris, la prise est prise, elle est inscrite et inscrite au même être quelle prend " (V.I., p. 319)?

La recherche de Merleau-Ponty semble orientée vers un langage qui ne présume pas se réduire purement et simplement aux modes de la dénotation conceptuelle, mais qui se sache  aussi inévitablement chargé des valeurs de la connotation, dont l’emblème est la métaphore ; un langage donc qui force l’opposition traditionnelle entre cette dernière et la conceptualité. Si la philosophie manque cela, souligne Merleau-Ponty aussi bien dans son commentaire de l’Einleitung que dans Le visible et l’invisible, elle ne pourra que manquer le monde de la " non-philosophie ", qu’elle a pourtant comme tâche de porter à l’expression. En ce sens Merleau-Ponty parvient ad limina philosophiae. Ces limina, à leur tour, renvoient en dernière analyse aux commencements mêmes de la philosophie, puisqu’à y regarder de près, l’idée d’une " a-philosophie " qui " se moque de la philosophie " n’est rien d’autre que l’idée d’une pensée qui a su trouver sa motivation dans cela-même qui motiva les ricanements de la servante thrace.

Carbone - Ad limina philosophiae. Merleau-Ponty e la Einleitung alla Phänomenologie des Geistes

"La vera filosofia si fa beffe della filosofia, è a-filosofia": così Merleau-Ponty annuncia la propria problematizzazione della filosofia nel corso intitolato Filosofia e non filosofia dopo Hegel (1960-61), dove il concetto di "non filosofia" concorre a descrivere un susseguirsi di tentativi cominciati con Hegel: quelli di elaborare una filosofia che finalmente instauri uno stretto legame con quanto ha invece tradizionalmente svalutato: l’"apparenza", l’"aldiquà", l’"esistenza", la "vita", l’"esperienza", la non filosofia, appunto. Tentativi di elaborare una filosofia che proprio attraverso la non filosofia – intesa non come il suo opposto, ma come il suo rovescio – divenga "a-filosofia".

Per Merleau-Ponty è dunque Hegel a inaugurare tale "storia dell’a-filosofia", affermando, con la Phänomenologie des Geistes, il principio in base al quale "è mediante una fenomenologia [...] che si accede all’assoluto [...] perché l’assoluto non sarebbe assoluto se non apparisse così".

Il presente saggio si sofferma appunto sulle note merleau-pontiane dedicate alla Einleitung alla Phänomenologie des Geistes. Il confronto con tali pagine hegeliane – incentrate sulla questione del rapporto fra il sapere e l’Assoluto – si colloca nell’ambito complessivo della riflessione di Merleau-Ponty sul problema della conoscenza, che ancora attendeva di trovare importanti sviluppi nel Visibile e l’invisibile. In tal senso, ha scritto Claude Lefort, "probabilmente si può dire che egli proietta in Hegel le proprie domande; ma altrettanto ci dà l’impressione di averle apprese a contatto con lui".

Possiamo affermare che la prima di queste domande chieda:  quale inizio per il sapere? Esso viene individuato nella doxa dell’atteggiamento naturale la quale in realtà è Urdoxa, nella Erfahrung come "apertura" al mondo. Agli occhi di Merleau-Ponty, l’ombra di Hegel converge dunque con quella di Husserl, inducendolo a individuare, nell’impostazione della fenomenologia evidenziata dai paragrafi 13 e 14 della Einleitung, uno "sconvolgimento" della filosofia tale da fargli annotare che essa "sembra entrata nei fenomeni", ossia essersi convertita in "a-filosofia".

Ma nel paragrafo 15 della Einleitung egli vede affiorare una radicale modificazione nella considerazione dell’esperienza e, pertanto, anche nella caratterizzazione dell’atteggiamento filosofico. Possiamo dunque dire che la seconda delle domande poste dal commento merleau-pontiano chieda: quale sapere assoluto? Merleau-Ponty mostra di concepire quest’ultimo non quale "punto" (Hegel) pan-oramico che, non diversamente da quello che la filosofia riflessiva ritiene di occupare, offra retrospettivamente dispiegato nella riflessione l’intero paesaggio della vita irriflessa. Dal suo commento sembra tuttavia emergere qualche affinità fra l’idea di filosofia imperniata sul concetto di "superriflessione" che egli intendeva elaborare nel Visibile e l’invisibile e la concezione del sapere assoluto a suo avviso ravvisabile in alcuni paragrafi della Einleitung, dove esso si profila come consapevolezza della reversibilità fra riflessione e irriflesso, nella quale avviene il dispiegarsi della cosa stessa.

Ma – è la terza domanda che il commento merleau-pontiano solleva – come verrebbe a configurarsi allora il linguaggio della filosofia? Potrebbe ancora essere quello del concetto, il cui etimo tedesco rinvia al gesto di afferrare, se "l’idea del chiasma" implica che "ogni

Silva-Charrak - "A philosophy which would not at all be its own": Merleau-Ponty and Malebranche

Merleau-Ponty’s philosophy sustains a constant dialogue with classical thought, notably, with that of Malebranche, whose reading of Descartes provides the means for overcoming Cartesian ontology, the very ontology that Merleau-Ponty, as is well-known, discusses right up to his last lecture courses (cf. the 1960-61course called "L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui").  What is at issue here therefore is to show that this discussion is made possible thanks to the reading of Malebranche, to whom Merleau-Ponty devotes some very stimulating analyses in his 1945-47 course on "The Union of the Soul and the Body in Malebranche, Biran, and Bergson."  But, the texts that, in Merleau-Ponty, attest to the presence of Malebranche behind the evocation of Descartes are really a lot more numerous and diverse.  This article refers to The Structure of Behavior, the Phenomenology of Perception, to the course on "The Union of the Soul and the Body," La Nature, "L’ontologie cartésienne," to The Visible and the Invisible, and to Eye and Mind.  The examination of the relation between Merleau-Ponty and Malebranche constitutes especially a way through which one can clarify Merleau-Ponty’s very thought.  Our concern therefore is not archeological, but rather our concern is to insert ourselves into Merleau-Ponty’s own conception of the history of philosophy.  Essentially, for us, what is at stake is to understand why the author of The Visible and the Invisible continues to situate himself (via Malebranche) in relation to the problem of the union, even while his philosophy aims to destroy dualisms.

We examine here Merleau-Ponty’s reading of two key notions found in Malebranche:  natural judgments (which Merleau-Ponty evokes repeatedly in these exact terms, and that we analyze in the first part of the article), and intelligible extension (which is analyzed in the second part).  On this basis, it turns out that we can get a view of Merleau-Ponty’s interpretation of the union of soul and body (this is the third part).

What is at stake in this article is to show that, in a certain way of reading Malebranche’s conception of passivity, Merleau-Ponty sets up the elements of an ontology of the flesh – of a philosophy that interrogates, on the basis of the problem of perception and language, the negativity, the divergence, the upsurge of sense on the basis of signs.

Silva-Charrak - "Una filosofia che non sarebbe affatto la sua". Merleau-Ponty e Malebranche

La filosofia di Merleau-Ponty alimenta un dialogo costante con il pensiero classico, in particolare con Malebranche, la cui lettura di Cartesio fornisce gli strumenti per un oltrepassamento dell’ontologia cartesiana, che Merleau-Ponty, si sa, discute fino ai suoi ultimi corsi (cfr. il corso del 1960-61 su "L’ontologie cartésienne et l’ontologie d’aujourd’hui"). Si tratta dunque di mostrare qui che questa discussione è resa possibile grazie alla lettura di Malebranche, alla quale sono dedicate analisi particolarmente interessanti nel corso del 1947-48 su L’union de l’âme et du corps chez Malebranche, Biran et Bergson. Ma i testi che, in Merleau-Ponty, attestano la presenza di Malebranche dietro l’evocazione di Descartes sono ben più numerosi e vari. Questo articolo fa riferimento a La struttura del comportamento, Fenomenologia della percezione, ai corsi su L’union de l’âme et du corps, La natura, L’ontologie cartésienne, al Visibile e l’invisibile e a L’occhio e lo spirito. Esaminare il rapporto tra Merleau-Ponty e Malebranche costituisce soprattutto un modo di chiarire il pensiero stesso di Merleau-Ponty – il nostro problema non è dunque di natura archeologica, ma vuole inscriversi nella concezione propriamente merleau-pontiana della storia della filosofia. La posta in gioco, in fondo, è per noi di comprendere perché l’autore del Visibile e l’invisibile continui a porsi (via Malebranche) in relazione col problema dell’unione, proprio quando la sua filosofia mira a far esplodere il dualismo.

Esaminiamo qui la lettura merleau-pontiana di due nozioni-chiave del malebranchismo: i giudizi naturali (che sono evocati da Merleau-Ponty in maniera ricorrente in termini precisi e che noi analizziamo nella prima parte), e l’estensione intelligibile (seconda parte). Su questa base, risulta possibile mettere in prospettiva l’interpretazione merleau-pontiana del problema dell’unione dell’anima e del corpo (terza parte).

Ciò che ci proponiamo con questo articolo è mostrare che, in un certo modo di leggere la concezione malebranchiana della passività, Merleau-Ponty sistema gli elementi di una ontologia della carne – di una filosofia che si interroga, a partire dal problema della percezione e del linguaggio, sulla negatività, lo scarto, lo sgorgare del senso a partire dai segni.

Ramirez Cobian - Merleau-Ponty’s Concept of Tradition: Based on Notes de cours sur L’origine de la géométrie de Husserl

On the basis of Gadamer’s hermeneutics, contemporary thought has valorized the concept of tradition (in contexts as diverse as ethical theory, political philosophy, or epistemology).  Within the context of contemporary thought, we are here trying to sketch Merleau-Ponty’s position in regard to the problem of tradition, where, as usual, French thought finds its way of proceeding by means of a dialogue with Husserl.  Consequently, the first stage of the investigation consists in delimiting the concept of tradition in Merleau-Ponty’s course devoted to Husserl’s "The Origin of Geometry"; in this text, "geometrical idealities" are paradoxically explained as being the product of a certain "tradition" and as a particular way in which tradition works (a spiritual and operative tradition).  This perspective is deepened in other texts where Merleau-Ponty presents his ideas concerning the concepts of intentionality, temporality, ideality, tradition, and expression.  Thereby, we pose the question of whether the way tradition functions in ideal acts is not also present in other cultural areas (art, politics, etc.) and in even in other non-Western cultures.

Ramirez Cobian - Il concetto di tradizione in Merleau-Ponty. A partire dalle Notes de cours sur L’origine de la géométrie de Husserl

Il pensiero contemporaneo, a partire dall’ermeneutica di Gadamer, valorizza il concetto di tradizione (in ambiti diversi che vanno dall’etica alla filosofia politica fino all’epistemologia). In questo contesto, si propone qui un primo approccio alla posizione di Merleau-Ponty con riferimento a tale problema, che il pensatore francese, secondo il suo abituale modo di procedere, affronta partendo da un dialogo con Husserl. Di conseguenza, la prima tappa della presente ricerca consiste nel delimitare il concetto di tradizione all’interno delle lezioni che Merleau-Ponty dedica al testo di Husserl noto come "L’origine della geometria". In esso le "idealità geometriche" vengono spiegate paradossalmente come i prodotti d’una certa "tradizione" e d’un suo modo particolare d’operare (tradizione spirituale e fungente). Questa prospettiva viene approfondita mediante altri testi in cui Merleau-Ponty espone le proprie idee sui concetti d’intenzionalità, temporalità, idealità, tradizione ed espressione. Su tali basi, questa ricerca si chiede se questo modo d’operare della tradizione negli atti ideali non si presenti anche in altri ambiti culturali (l’arte, la politica, ecc.) e magari anche in altre culture, diverse dalla cultura occidentale.

Colli - Nature as a Mythical Origin: On Merleau-Ponty’s Genealogy

The latter Merleau-Ponty explicitly devotes a series of lectures, held at the Collège de France from 1956 to 1960, to the concept of Nature. He defines Nature as "the primordial, the not-built, the not-instituted."  It is, according to Merleau-Ponty, the original, the wild and raw dimension to which one is sent back from the domesticated, refined and distinctively human sphere of culture. Yet this origin should not be conceived, chronologically, as a punctual beginning, taking place once and for all, but as the always renewed commencement of actual experience.

Being a continuous birth, a perpetual productivity, Nature as an origin cannot be rendered in its originality, in its quality of principle. It slips away the very moment one tries to grasp it, since it keeps transforming itself even while we try to capture it and it is the obscure and never completely clarified background of the supposed transparent cultural operations. So, one can account for Nature as an origin only when it has passed, by telling the story it has always already generated.

Hence its mythical character, in the etymological meaning of the word.  As it happens for our own birth, Nature can only be expressed in a story, a story that is necessarily begun by someone else and that may be integrated into an autobiographical report, a story told by one story teller after another, a story that necessarily refers to the story par excellence, that is, to the myth, to a story about origins without either origin or narrator. The origin is mythical because, like the myth, it cannot be ascertained and, at the same time, rejected, since an original productive principle must be assumed for the products that have risen from it.  Hence the possibility of referring to Merleau-Ponty’s genealogy as a mythology.

The origin occurs in what Merleau-Ponty calls mythical time, that is "a sort of time of sleep," of which the awakening is the irrefutable proof, but also the only one possible.  Sleep can be attained only indirectly, by the story the sleeper tells when he awakes.  Such a story, in order for it to be as faithful as possible, as well as to be the story of the origin, must give voice to what keeps the most lively memory of it, that is, body, which Merleau-Ponty considers as our bond with Nature, the place of our insertion into and of our arising from Nature. To grasp our native link with Nature, which Merleau-Ponty considers as our cradle, it is indispensable to resort to a story, as the one by Proust, which Merleau-Ponty cherished, where the most truthful trace of sleep is the torpor of the body.

On the other hand Merleau-Ponty’s story remained unfinished, but he seemed to point to it as the aim of philosophy, that is, not only as an aim to reach, but also as what should not be achieved, if the origin must remain what it is and if it is to keep on being productive. So, Merleau-Ponty’s words resonate both as a wish and as a warning: "The end of a philosophy is the story [récit] of its beginning" (The Visible and the Invisible, p. 177, translation modified). The incompleteness of Merleau-Ponty’s philosophy seems therefore to be ascribed, besides his untimely death, also to a deeper reason:  not to exhaust its expressive power, an exhaustive power that comes to it from preserving the origin in its mythical inaccesibility.

Colli - La nature comme origine mythique. Sur la généalogie chez Merleau-Ponty

Le dernier Merleau-Ponty consacre tout spécialement au concept de Nature une série de cours donnés au Collège de France entre 1956 et 1960, dans lesquels il définit la Nature comme " le primordial, le non constitué et le non institué ". Par conséquent, la Nature est pour Merleau-Ponty l’originaire, la dimension sauvage et brute que l’on peut retrouver en suivant une démarche généalogique, à partir de la dimension domestiquée et élaborée, cest-à-dire de la sphère proprement humaine de la culture. Ainsi thématisée, toutefois, l’origine ne doit pas être comprise en un sens chronologique, comme un point initial, une première fois qui ne se répète pas, mais comme l’originaire, le moment inaugural de l’expérience en acte qui n’est jamais au passé.

Dès lors, en tant que naissance continuée, en tant que productivité toujours au présent, la Nature au sens de l’origine ne peut pas être ressaisie comme telle, dans son originalité et sa dimension principielle. En effet, elle se dérobe aux efforts qui visent à la thématiser, continue d’exercer sa puissance de fondation dans ces efforts eux-mêmes, et constitue le fond obscur qu’aucune opération de la culture, présumée pourtant transparente, ne pourra jamais complètement porter en pleine lumière. De la Nature comme origine, on ne peut donc parler qu’après coup, en tant qu’elle est toujours déjà histoire, à partir du récit de cette histoire.

D’où son caractère mythique, au sens étymologique du terme. Il en va de la Nature comme de l’événement de ma propre naissance : je ne peux la prendre pour thème qu’à partir d’un récit que d’autres, nécessairement, ont déjà commencé, et que mon récit autobiographique peut seulement venir compléter ; un récit qui, de narrateur en narrateur, renvoie nécessairement au récit par antonomase, cest-à-dire au mythe, à un récit des origines sans origine et sans narrateurs assignables. L’origine est mythique au sens où, tout comme le mythe, elle est à la fois invérifiable et irrécusable, du moment qu’il faut malgré tout assigner un principe productif originaire aux produits qui en ont surgi.  A partir de là, il devient possible de parler de la généalogie au sens où l’entend Merleau-Ponty dans les termes d’une mythologie.

L’origine est située dans ce que Merleau-Ponty appelle le temps mythique, lequel est " une sorte de temps du sommeil " dont le réveil est le seul témoin possible, le témoin irréfutable. On ne peut donc viser le sommeil qu’indirectement, à travers le récit qu’on en fait au réveil, lequel récit, tout comme celui sur l’origine, ne pourra être le plus fidèle possible à ce qu’il vise, en l’occurrence le sommeil, qu’en se mettant à l’écoute de cela même qui en garde la mémoire la plus vive, quand bien même ce serait de façon sourde et confuse : à savoir le corps, que Merleau-Ponty considère comme le véhicule de notre rapport à la Nature, comme le lieu où se fait notre insertion et notre surgissement dans la Nature. Pour prendre en vue notre lien natal à la Nature, que Merleau-Ponty considère également comme notre berceau, il est par conséquent indispensable de se fier à un récit, comme celui de Proust auquel Merleau-Ponty tenait tant, récit dans lequel c’est la torpeur du corps qui est la trace la plus véridique du sommeil.

Par ailleurs, si le récit merleau-pontyen est resté inachevé, Merleau-Ponty lui-même paraît l’avoir assigné comme but à la philosophie. Non pas seulement comme un but à atteindre en soi, mais aussi comme ce qui ne doit pas être achevé, pour préserver l’origine dans sa dimension productive, en tant qu’elle est ce qu’on ne doit pas chercher à expliciter jusqu’au bout ; dès lors, les mots de Merleau-Ponty sonnent à la fois comme une promesse pleine d’espoir et comme un avertissement : " la fin dune philosophie est le récit de son commencement ". Ainsi, l’inachèvement de la pensée de Merleau-Ponty s’explique non seulement par sa disparition prématurée, mais aussi par une motivation plus profonde : ne pas en épuiser la puissance expressive, afin de préserver l’origine en son retrait mythique.

Calabrò - Time, Space, Movement: The Later Merleau-Ponty as Found in an unpublished Esquisse Ontologique

The aim of this paper is to describe Merleau-Ponty’s incessant search in the late Fifties for a radical explanation of his new ontological outlook. As a matter of fact, starting with the Courses on Nature – presented at the Collège de France between 1956-1960 – as well as some unpublished notes (23rd September, 6th and 7th October 1958) and from the Esquisse ontologique (March 1959?), Merleau-Ponty’s attention is mainly focused on understanding Nature. The principle goal of the investigation is to analyse the notion of Nature in the light of the three concepts that are most pertinent to it: time, space, movement.  These concepts – when examined closely– take on not only a special ontological meaning, but also an aesthetic one.  As a matter of a  fact, they are constantly "borrowed" from literary, artistic, musical and thespian creations and are inserted into philosophical works where they explode, uncontrollably "expressing" our anchorage to our Being.  Far from the hard structure of a rationalised world – which for centuries had reduced Nature to a sheer object for analysis – Merleau-Ponty proposes a really difficult task: thinking about Nature without "explaining" it.  A difficult and compelling task after the "katastrophé" of classical science: Nature refuses to be observed, it avoids visibility, "explodes beneath our gaze", leaves a "trace" and reveals "shadows" (cfr. N. p. 121).  The questions regarding localisation and time ("where am I?" and "what time is it?") can no longer have an exhaustive answer, but branch out endlessly in myriad dimensions, to surrounding worlds which fill our lives or, to be more precise, are our lives.  Time and space cannot therefore be considered absolute values, but are "functions," "symbols" "open systems." "Here" and "now" are to be conceived as events/evocative figures, photographic images, instant photos, snatches of world, possible entrances to a  "idios kosmos" from which our involvement with Being literally hangs.  All of this finds a full explanation in the "Esquisse ontologique" where Merleau-Ponty states that time and space cannot give themselves without the movement that contains them and makes them possible.  To the questions "Where am I?" and "What time is it?" two strong statements come to mind: "le temps a des bords en haillons" and "pas de où ponctuel" pointing to the fact that there is only an "amendment" of the world, that there is only "motion" from which time and space draw their metaphoric position.

Calabrò - Tempo, spazio, movimento. l’ultimo Merleau-Ponty in un inedito Schizzo ontologico

Il presente lavoro è volto a testimoniare l’insistenza con cui Merleau-Ponty ricercava, sul finire degli anni Cinquanta, un chiarimento radicale della sua nuova prospettiva ontologica. A partire infatti dai Corsi sulla Natura – tenuti dal filosofo al Collège de France negli anni ‘56-’60 – nonché da alcune note inedite (23 settembre, 6 e 7 ottobre 1958) e dall’Esquisse ontologique (marzo 1959?) l’attenzione di Merleau-Ponty si concentra per lo più sull’interrogazione della Natura.

Scopo principale della nostra ricerca è quindi quello di analizzare la nozione di Natura alla luce dei tre concetti che più le ineriscono: il tempo, lo spazio, il movimento. Tali concetti assumono – a ben vedere – non soltanto una peculiare valenza ontologica, ma anche estetica. Essi infatti sono costantemente "prelevati" da luoghi letterari, pittorici, musicali e messi in opera in ambito filosofico dove prepotentemente irrompono per "dire" il nostro ancoraggio all’Essere. Fuori del poderoso impianto di matematizzazione del mondo – che per secoli aveva ridotto la Natura a puro oggetto di analisi – Merleau-Ponty si propone un compito davvero arduo: "pensare la Natura senza spiegarla". Compito decisivo e urgente dopo la katastrophé della scienza classica: la Natura si sottrae all’osservazione, "sfugge al visibile", "esplode sotto i nostri occhi"; essa "lascia un residuo", svela delle "zone d’ombra" (cfr. N. p. 121). Le domande di localizzazione e temporalizzazione ("dove sono?" e "che ora è?") non possono più ottenere una risposta esaustiva, ma si aprono indefinitamente a dimensioni multiple, ai mondi circostanti che occupano la nostra esistenza o, più precisamente, che sono la nostra stessa esistenza. Tempo e spazio quindi non possono essere considerati come assoluti, bensì come "funzioni", "simboli", "sistemi aperti". "Qui" e "ora" sono da intendere allora come eventi/figure allusive, immagini fotografiche, istantanee, afferramenti di mondo, accessi possibili a un "idios kosmos" cui è letteralmente sospesa la nostra implicazione all’Essere. Tutto ciò trova la sua piena esplicitazione proprio nell’Esquisse ontologique, là dove il filosofo francese precisa che tempo e spazio non possono darsi se non grazie al movimento che li sottende e che li rende possibili. Alle domande "dove sono?" e "che ora è?" fanno eco due perentorie affermazioni: "le temps a des bords en haillons" e "pas de où ponctuel", come dire che c’è solo una "varianza" di mondo, quel "mosso" a partire da cui tempo e spazio trovano la loro metaforica configurazione.

Keller - L’intentionnalité dans la structure perspective

L’importance de la conception merleau-pontienne de l’intentionnalité a été sous-évaluée. Alors qu’il faudrait la considérer comme une dimension essentielle de cette philosophie et comme une étape décisive du développement phénoménologique, la notion d’" intentionnalité corporelle " n’a pas encore reçu la considération qu’elle mérite. Si l’on s’attache à la manière dont les travaux de Merleau-Ponty sont lus on aperçoit une certaine réserve, de la part des phénoménologues ou d’autres philosophes, concernant le fait que la cognition, la conscience et l’égo soient compris comme des dimensions dérivées de l’expérience et de la pratique.

Le renouvellement merleau-pontien du concept phénoménologique d’intentionnalité peut être interprété au fil de trois conceptualisations complémentaires : une dimension structurale, générative et enfin hyperdialectique de l’intentionnalité. Seule la première de ces trois dimensions est abordée dans cet article. Ainsi conçue l’intentionnalité se distingue en particulier de la définition noético-noématique de l’intentionnalité husserlienne, comprise comme perspective d’un sujet sur un objet. Cette définition rate la structuration spontanée et élémentaire de la signification qui revient à l’intentionnalité. Dans l’expérience et la pratique immédiates l’intentionalité implique transcendance et ouverture préthématique. L’intentionnalité se caractérise par une spontanéité qui se révèle exemplairement  si l’on remonte à la racine de notre expérience et de nos pratiques : à la perception et l’expression primordiales. Ce qui se découvre alors c’est la structure d’une perspective figure-fond, – ce qui est fort différent d’une perspective sujet-objet.

Cette redéfinition spectaculaire de l’intentionnalité comme structuration d’une perspective figure-fond, Merelau-Ponty ne cesse d’y revenir dans ses différents travaux pour l’affiner et la conforter. Cette conceptualisation n’implique aucune " métaphysique de la présence ", et la manière dont Merleau-Ponty l’associe à une nouvelle définition de l’idéalité est très éloignée de toute conception noético-noématique. Cette conception nouvelle d’une intentionnalité structurale oriente la phénoménologie vers une philosophie débarrassée de l’alternative entre sujet rationnel centré et sujet rationnel décentré. Cependant les dimensions générative et hyperdialectique de l’intentionnalité représentent des contributions elles aussi essentielles au nouveau concept d’intentionnalité corporelle ébauché par Merleau-Ponty.

Keller - L’intenzionalità nella struttura prospettica

Il significato della concezione merleau-pontiana dell’intenzionalità è stata sottovalutato. Sebbene essa debba essere considerata come una via maestra nella sua filosofia e come un passo fondamentale nello sviluppo della fenomenologia, la nozione di "intenzionalità corporea" non ha ancora incontrato l’apprezzamento che merita. In un commento sulla lettura delle opere di Merleau-Ponty questa situazione è associata con riserve dei fenomenologi e di altri studiosi verso la sua concezione del sapere cognitivo, della coscienza e dell’ego come dimensioni derivate dell’esperienza e della prassi.

Il rinnovamento del concetto fenomenologico di intenzionalità da parte di Merleau-Ponty può essere interpretato secondo tre concettualizzazioni complementari: una dimensione strutturale, una generativa ed una iperdialettica dell’intenzionalità. Soltanto la prima è discussa dettagliatamente nel presente saggio. In particolare, essa è tenuta distinta dall’husserliana concezione noetico-noematica di intenzionalità come prospettiva soggettiva su di un oggetto. Questa concezione non coglie le caratteristiche dell’intenzionalità come spontanea ed elementare strutturazione del significato. Nell’esperienza e nella pratica immediate, l’intenzionalità implica apertura pre-tematica e trascendenza. L’intenzionalità è contraddistinta da una spontaneità che è assai evidente alle radici della nostra esperienza e delle nostre pratiche: nella percezione e nell’espressione primordiali. Ciò che risulta qui è la struttura di una prospettiva figura-sfondo, che è qualcosa di completamente diverso da una prospettiva soggetto-oggetto.

Il disvelamento rivoluzionario da parte di Merleau-Ponty dell’intenzionalità come strutturazione di una prospettiva figura-sfondo è corroborato e perfezionato in tutto il corso della sua opera. Questa concettualizzazione non implica una "metafisica della presenza" ed il modo in cui essa è associata con la nuova nozione di idealità di Merleau-Ponty è molto lontano da qualsiasi concezione noetico-noematica. Il suo rinnovamento della concezione strutturale dell’intenzionalità segna lo sviluppo della fenomenologia in una filosofia al di là delle alternative fra un soggetto razionale centrato e uno de-centrato. In ogni caso, le dimensioni generativa ed iperdialettica dell’intenzionalità sono contributi ugualmente importanti al nuovo concetto fenomenologico di intenzionalità corporea che Merleau-Ponty ha sottolineato.

Schrag - L'éthique et le politique dans la philosophie de Merleau-Ponty

Le volume édité par Duane H. Davis, Merleau-Ponty's Later Works and Their Practical Implications, fournit au moment le plus opportun une contribution intrinsèquement importante aux recherches, en continuelle expansion, sur la philosophie de Merleau-Ponty. Le volume a pour centre la question des implications éthiques et politiques des approches philosophiques de Merleau-Ponty. La thématique à laquelle les contributions qui composent le volume sont appelées à se confronter est établie dans la partie initiale, par le biais de la traduction anglaise de l'échange de lettres entre Sartre et Merleau-Ponty au moment de la rupture de leur amitié, survenue en 1953 en raison de leurs désaccords sur le rôle du politique dans le discours philosophique. Le choix des dix éminents spécialistes auxquels sont confiés les principaux points en discussion mérite un éloge. Les essais de ces dix spécialistes composent la seconde et la troisième partie du volume, auquel ils apportent une variété articulée de perspectives. Les thèmes vont de l'étude des facteurs biographiques à l'oeuvre dans les différences philosophiques entre Sartre et Merleau-Ponty jusqu'à l'examen des influences exercées historiquement sur Merleau-Ponty par Husserl, Hume, Trotsky et Weber, en passant par des confrontations critiques avec la pensée éthique de Emmanuel Lévinas et avec le tournant sémiotique de la postmodernité, ainsi que par une expérience de pensée sur la possibilité d'une éthique communicative dans la plus pure tradition merleau-pontienne.

Schrag - L’etico e il politico nella filosofia di Merleau-Ponty

Il volume edito da Duane H. Davis, Merleau-Ponty’s Later Works and Their Practical Implications, fornisce nel momento più opportuno un contributo intrinsecamente importante alle ricerche, in continua espansione, sulla filosofia di Maurice Merleau-Ponty. Al centro del volume sta la questione relativa alle implicazioni etiche e politiche degli approdi filosofici di Merleau-Ponty. La tematica con cui i contributi che compongono il volume sono chiamati a confrontarsi è stabilita nella parte iniziale, mediante la prima traduzione inglese dello scambio di lettere intercorso fra Sartre e Merleau-Ponty  durante la rottura della loro amicizia, avvenuta nel 1953 per disaccordi sul ruolo del politico nel discorso filosofico. La scelta dei dieci insigni studiosi cui sono affidati i principali punti in discussione merita un elogio. I saggi di questi dieci studiosi compongono la seconda e la terza parte del volume, cui forniscono un’articolata varietà di prospettive. Gli argomenti spaziano dalla considerazione dei fattori biografici operanti nelle differenze filosofiche fra Sartre e Merleau-Ponty sino all’esame degli influssi storicamente esercitati su Merleau-Ponty da Husserl, Hume, Trotsky e Weber, ai confronti critici con il pensiero etico di Emmanuel Levinas e con la svolta semiotica della postmodernità, a un esperimento di pensiero sulla possibilità di un’etica comunicativa nella più piena eredità merleau-pontiana.

Scarso - "Merleau-Ponty, Féminisme et Intersubjectivité". Vingt-cinquième session du Merleau-Ponty Circle U.S.A. à Washington DC, du 14 au 16 septembre 2000.

Pas moins de 39 intervenants ont présenté leur contribution au 25ème congrès annuel du Merleau-Ponty Circle américain, qui s’est tenu en septembre dernier à l’université Georges Washington de Washington, DC. Parmi eux, il y avait des spécialistes issus non seulement du champ des Women’s Studies et de la philosophie, mais aussi des sciences sociales, de la psychologie, de la littérature et de l’architecture, dont les conférences en sont ainsi venues à composer, selon les termes de la Conference Director Gail Weiss, "l’ensemble d’études sur Merleau-Ponty le plus novateur qu’on ait jamais vu jusqu’alors". Les sessions de jour des deux premières journées du congrès, qui se déroulaient dans la tranquille région de collines du Mount Vernon Campus, comprenaient, entre autres, les interventions de Dorothea Olkowski (University of Colorado at Colorado Springs), intitulée "Intertwining and Objectification" et de Martin Dillon (SUNY Bighamton) sur "Conscience and Authenticity", qui affronte le thème de la tension entre obéissance et liberté chez Nietzsche, Freud, Heidegger et Merleau-Ponty. Elizabeth Grosz (SUNY Buffalo) prit plutôt pour point de départ la pensée de Bergson ; son texte "Merleau-Ponty, Bergson et la question de l’ontologie", présenté lors de la session plénière du vendredi 15 dans l’auditorium de l’Ambassade de France, invite la théorie féministe, et plus généralement la pensée philosophique, à un retour à l’ontologique, entendu comme réel qui " provoque, incite et persuade", un réel qui est certes objet de pratique politique mais qui nécessite également des élaborations  philosophiques ne visant pas tant à le "résoudre" qu’à l’articuler adéquatement. Les rencontres du troisième et dernier jour du congrès se tenaient sur le campus principal de la GWU, qui s’étend sur plusieurs pâtés de maison non loin de la Maison Blanche, et comprenaient l’intervention de Hugh Silverman (SUNY Stony Brook), intitulée "Ethics of Postmodern Differences", ainsi que celle de Judith Butler (UC Berkeley), ayant pour titre "Passions of the Soul : Merleau-Ponty and the Touch of Malebranche".

Scarso - "Merleau-Ponty, Feminism, and Intersubjectivity". Twenty-fifth Annual Meeting of the Merleau-Ponty Circle, in Washington DC, from September 14-16, 2000.

No less than 39 participants presented papers at the 25th Annual Meeting of the American Merleau-Ponty Circle, which was held last September at George Washington University in Washington, DC.  The participants included not only specialists from the field of Women’s Studies and from philosophy, but also from the social sciences, psychology, literature, and architecture.  The papers presented thus made up, acccording to the Conference Director Gail Weiss, "the most innovative group of Merleau-Ponty studies that we have ever seen so far."  The daytime sessions held during the first two days of the conference, which took place in the tranquil hills of the Mount Vernon Campus, included, among others, Dorothea Olkowski’s paper (University of Colorado at Colorado Springs), entitled "Intertwining and Objectification" and that of Martin Dillon (SUNY Bighamton) on "Conscience and Authenticity."  Dillon’s paper in particular concerned the theme of the tension between obedience and freedom in Nietzsche, Freud, Heidegger and Merleau-Ponty. Elizabeth Grosz (SUNY Buffalo) however, took her point of departure from Bergson’s thought; her text "Merleau-Ponty, Bergson and the question of ontology," presented in a plenary session on friday the 15th in the auditorium of the French Embassy, invited feminist theory, and more generally, philosophical thinking, to return to ontology, understood as the real that "provokes, incites, and persuades," a real that is certainly the object of political practice but that necessitates as well philosophical elaborations that do not aim so much at "resolving" it as at articulating it adequately.  The meetings held on the third and last day of the conference were held on GW’s main campus, which extends along several city blocks not far from the White House, and included Hugh Silverman’s (SUNY Stony Brook) paper, entitled "Ethics of Postmodern Differences" as well as that of Judith Butler (UC Berkeley), whose paper was called "Passions of the Soul:Merleau-Ponty and the Touch of Malebranche".

> Chiasmi International 3<